La nostalgia di un paese sfigurato dalla modernità
di Mauro Massari – L’Edicola – 22 Giugno 2025
Leggendo La linea dell`orizzonte, si ha l`impressione che Christos Vakalopoulos non volesse scrivere un romanzo. Piuttosto, l`intento sembra quello di evocare un fantasma collettivo: la Grecia che fu e che già nel 1991 pareva solo un miraggio. Le protagoniste – donne trentenni che non si incontrano ma si scrivono, che viaggiano da sole pur condividendo lo stesso smarrimento – appaiono come figure fluttuanti, senza identità definita. Parlano poco, osservano molto. Archetipi di un disagio che si origina negli anni Settanta, tra le vergogne silenziose dei collegiali greci in Svizzera e l`umiliazione costante di sentirsi fuori posto, mai sincronizzati con il mondo. La bellezza del libro sta nel suo modo visionario e straniante di raccontare la catastrofe senza mai nominarla. Catastrofe interiore, consumata tra caffè frastornanti, navi dirette verso isole ormai plastificate, tramonti spiati da dietro occhiali neri. Patmos – isola dell`Apocalisse – diventa epicentro silenzioso di questa fine dei tempi. Lì, la musica si ferma a mezzanotte, “perché non c`è più musica”. Una constatazione fatta con naturalezza devastante. Tutto è contaminato. La cucina greca non è più greca, le isole non vogliono più essere greche, persino il linguaggio è stato colonizzato dall`inglese. L`elemento “biondo” – metafora del turismo di massa, dell`occidentalizzaz ione, del benessere fittizio – ha invaso tutto. Anche l`abbronzatura è ideologia. L`orrore più profondo è l`assuefazione: cominciare a credere che questa realtà fittizia sia la sola possibile. Nel mondo di La linea dell`orizzonte, ogni tentativo di spiegazione produce l`effetto opposto. “Appena scrivi la prima parola, cambia tutto”. È questa la frase che più colpisce. Il cuore stesso della scrittura. Ogni spiegazione, ogni confessione, ogni memoria è anche una menzogna. La lingua è infezione, è mediazione fallita. Eppure Vakalopoulos continua a scrivere – con una lingua spezzata, circolare, ipnotica – come chi cerca disperatamente un punto fermo. Questo non è solo un libro ma un paesaggio che si attraversa. Un viaggio tra rovine che non sono ancora crollate, ma già odorano di decomposizione. E allo stesso tempo un inno malinconico e furioso alla possibilità che qualcosa sopravviva. Forse non la Grecia, forse nemmeno chi scrive. Ma un`idea, un`eco, una soglia. Forse proprio questa è la vera linea dell`orizzonte: la consapevolezza che tutto finirà, e che si continuerà a scrivere solo per poterlo dimenticare.
La linea dell’orizzonte
Bruna, trentadue anni, vestita leggera, Rea Franzì è la protagonista della Linea dell’orizzonte, romanzo e insieme riflessione profetica sulla perdita delle identità. Quelle degli individui prigionieri dell’eterno presente, e quella dei luoghi, come le isole greche invase d’estate da orde di «gente bionda». Ambientato a Patmos, icona della lotta al turismo di massa, dove a mezzanotte «la musica finisce» è la storia di una fuga e di una ricerca. Pasoliniano e nostalgico, sognante e luminoso, il romanzo di Vakalopoulos racconta a nuove e vecchie generazioni il dramma dell’omologazione e della disgregazione sociale. Lo fa con una prosa folgorante, quasi la sceneggiatura di un film, inseguendo Rea fra le spiagge dell’isola dell’Apocalisse. Petros Markaris la definisce nella sua prefazione alla presente edizione «un’opera profetica, che prevede dove sarebbe andata a finire la Grecia nel primo quarto del XXI secolo». Quello di Vakalopoulos, infatti, non è solo un romanzo, ma una guida alla ricerca di un’immagine, un nuovo inizio, un ritorno a se stessi e alle proprie radici. Fra chiesette incastonate sul ciglio di una scogliera, evocazioni dell’imperatore Alessio Comneno, difensore dell’eternità contro i Franchi avidi di presente autori del sacco di Costantinopoli durante la Quarta Crociata, spiagge frequentate da «uomini di altre epoche, passate e future» e altre invase da turisti che non sanno dove si trovano, ma seguono la corrente, Vakalopoulos aiuta il lettore scoprire che la vera fuga è un ritorno. Un ritorno ai ritmi del villaggio, alla comunità, all’autentica musica che sgorga dall’anima del popolo, alla dimensione dello spirito che la Linea dell’orizzonte, quella che unisce l’azzurro del cielo al blu dell’Egeo, lascia intravvedere quale risposta di verità e libertà.
Prefazione di Petros Markaris
Traduzione e postfazione di Francesco Colafemmina
Pagine: 160
Recensioni:
Toscana Oggi – Simone Innocenti
Mow Magazine – Riccardo Canaletti
