Guglielmo II con i musulmani
di Diego Gabutti – Italia Oggi – 23 Agosto 2025
Fu la Germania di Guglielmo II (Imperatore clown, ma più un Joker che un Bagonghi) a suscitare la prima jihad del Novecento. «Razza padrona», baffi impomatati rivolti all’insù, divise militari dai colori psichedelici che si disegnava da sé, una bulimia geopolitica che nemmeno Alessandro e Napoleone, Guglielmo s’era messo in testa di scalzare gl’inglesi da Medioriente, India e Asia centrale nella presunzione (poi ereditata da Hitler) di dominare il mondo. Per questo lasciava che a ovest di Costantinopoli, tra i veri credenti, che voleva trasformare (più che in alleati) in suoi strumenti di conquista, lo chiamassero Mohammed Guglielmo. Lasciava anche credere, attraverso i suoi diplomatici e propagandisti, che la Germania preferisse l’Islam al cristianesimo, un po’ come fanno oggi le sinistre pro-Pal quando inneggiano ad Hamas. Peter Hopkirk, storico del «Grande gioco» (così in Kim, di Rudyard Kipling) tra servizi segreti russi e britannici in Afghanistan, India, Nepal e Pamir, racconta la storia di questo fronte asiatico (solo apparentemente secondario) della Prima guerra mondiale in un grande libro, Servizi segreti a oriente di Costantinopoli. Non è una semplice storia delle battaglie combattute contro Istanbul e Berlino dagli eserciti di Mosca e Londra (diventati, dopo Kim, alleati): la rotta di Gallipoli che umilia l’Inghilterra, la presa di Erzurum da parte della Russia, il massacro (armeno) dei musulmani di Baku, la conquista di Baghdad, la rivolta araba, la ritirata del contingente inglese da Baku e il massacro (musulmano) degli armeni che ne seguì. È una storia di battaglie, ma anche una storia di spie e dinamitardi, di nazionalisti e di bolscevichi (jihadisti anch’essi, per Iddio «Marx-Engels-Lenin», il comunismo come religione): una storia romanzesca, persino un po’ hollywoodiana, popolata di eroi da feuilleton (come il capitano Reginald Teague-Jones, indicato dai bolscevichi, notoriamente bugiardi e bari, come l’assassino dei «26 commissari di Baku», e che trascorse il resto della vita lavorando per l’Intelligence sotto falso nome, temendo la vendetta dei cekisti). Non a caso (vedasi qui sotto gli appunti su Greenmantle, da noi Il mantello verde) il primo a raccontare la storia della jihad proclamata del Califfato e dalla cancelleria tedesca fu nel 1916 John Buchan, uno scrittore di spy stories, mentre la guerra santa per il trionfo dell’Islam e del Kaiser sui «cani infedeli» russi e inglesi era ancora in corso. È una storia di spie, di rivoluzionari e della loro arma suprema, mai deposta o messa al bando: la propaganda di guerra (come oggi, ahinoi, ce n’è anche troppa sul web, in tv e nei titoli di giornale). «Nelle moschee e nei bazar di tutto l’Oriente» – scrive Hopkirk – «circolava la voce che l’imperatore tedesco si fosse segretamente convertito all’Islam. «Haji» Guglielmo Mohammed aveva persino fatto un pellegrinaggio, in incognito, alla Mecca. Studiosi musulmani furono in grado di trovare misteriosi passaggi nel Corano nei quali si dimostrava come Guglielmo avesse ricevuto ordine da Dio di liberare con la spada i credenti dal dominio degl’infedeli. Presto si diffuse la voce che l’intera nazione tedesca avesse seguito l’esempio dell’Imperatore e si fosse convertita in massa all’Islam». Scriveva John Buchan nel 2016, senza stupirsene, come non ce ne stupiamo noi oggi: «Questi ritorni alla religione avvengono in modo ciclico e adesso è il momento d’un altro grande revival religioso. È di nuovo nato un seme dal sangue del Profeta che riporterà il Califfato alle sue antiche glorie militari e l’Islam alla sua veneranda purezza». Si combatteva, come oggi, per il territorio, cercando di strappare città e regioni al controllo del nemico. Ma soprattutto si combatteva, sempre come oggi, per conquistare il cuore e la mente dei popoli: ieri la guerra santa guglielmina, oggi i megafoni occidentali del Cremlino, del fondamentalismo islamico, del trumpismo senza rete, dell’antisemitismo rinato. «Nell’appello ai musulmani di tutto il mondo affinché s’unissero alla Guerra Santa, il Sultano ordinava loro d’alzarsi come un sol uomo e di colpire gli infedeli che li opprimevano ovunque si trovassero. La «fatwa» fu letta solennemente in ogni moschea, e stampata in ogni giornale, in tutto l’impero ottomano». Tonnellate di volantini incendiari, insieme a carichi d’armi pagate dal Kaiser, furono contrabbandati e distribuiti clandestinamente nei protettorati e possedimenti inglesi, sotto il naso della Corona. Uno di questi volantini recitava: «Sappiate che il sangue degl’infedeli nelle terre islamiche può essere versato impunemente – tranne quelli a cui il potere musulmano ha promesso sicurezza e alleanza [vale a dire i tedeschi]». Un altro volantino predicava: «Prendeteli e uccideteli ogni volta che li trovate. Chi uccide anche un solo miscredente tra quelli che ci opprimono, sia che lo faccia in segreto o apertamente, sarà ricompensato da Dio. E che ogni musulmano, in qualsiasi parte del mondo si trovi, giuri solennemente di uccidere almeno tre o quattro degli infedeli che lo governano, perché costoro sono nemici di Dio e della Vera Fede. Un musulmano che fa questo sarà salvato dagli orrori del giorno del giudizio». Accanto alla jihad islamica c’era naturalmente la jihad prussiana, non meno fondamentalista, che di lì a poco avrebbe portato al Führer e all’Olocausto: «Un futuro impero tedesco – scrisse un professore – dovrà estendersi dal Mare del Nord al Golfo Persico, assorbendo l’Olanda, la Svizzera, l’intero bacino del Danubio, i Balcani e la Turchia». E anche: «Il popolo tedesco deve elevarsi come razza padrona al di sopra dei popoli inferiori d’Europa e dei popoli infimi e primitivi al di là di essa». Se l’appello, a ovest del Bosforo, fu raccolto da singole comunità islamiche, le principali nazioni sotto il dominio russo e inglese furono per lo più molto prudenti: parteggiavano per l’alleanza turco-tedesca, ma non volevano ritrovarsi, alla fine della fiera, schierati con i perdenti e condividerne la sorte. Gli arabi, da parte loro, si schierarono senz’altro dalla parte degl’inglesi, come sa chiunque abbia visto Lawrence d’Arabia, il grande film di David Lean. Tra la «razza padrona» turcomanna (o crucca) e l’Occidente (come farebbero oggi anche i palestinesi, se solo potessero parlare) gli arabi sapevano perfettamente chi scegliere. Col Principe Faisal (nel film Alec Guinness) la retorica dei volantini jihadisti stampati dalle tipografie del Kaiser non funzionava. Come, a ovest di Costantinopoli, non funziona nemmeno oggi, qualunque cosa scrivano i giornali pagati da Teheran e Mosca. Funziona, tutt’al più, a est di Costantinopoli – con i beoti dei centri sociali e dei rettorati universitari fascistoidi.
Servizi segreti a oriente di Costantinopoli
Sotto il vessillo della Guerra Santa, grazie alla guida di Berlino e alla longa manus di Costantinopoli, tedeschi e turchi diedero il via, nel tragico scenario della Prima guerra mondiale, al tentativo di scatenare la rivoluzione nell’India britannica e nell’Asia Centrale Russa. Si trattava di una nuova e più ampia versione dell’antico «grande gioco», con il dominio del mondo come obiettivo finale. Raccontato con epici dettagli, Servizi Segreti a Oriente di Costantinopoli è il resoconto delle imprese, dei complotti, dei fallimenti e dei successi di spie, cospiratori, diplomatici e avventurieri dei due opposti schieramenti, in un susseguirsi di eroismi, tradimenti e sacrifici. Come sottolinea Roberto Zavaglia nella Postfazione: «Quello di Hopkirk è un grande libro di storia che si legge come un romanzo di avventura, per le tante vicende mirabolanti e per i tanti strepitosi personaggi che lo popolano. Il maggiore pregio di questo libro è che l’autore riesce a raccontare molte di queste strabilianti vicende individuali senza perdere il filo della trama complessiva. Si riconosce il meccanismo di azione-reazione delle potenze in lotta che funziona anche sulla base dei risultati dell’intricata guerra di spie. Pure quando le informazioni procurate dagli uomini sul campo, in modo avventuroso e senza una precisa visione d’insieme, inducono a interpretazioni sbagliate che portano i rispettivi governi a esagerare o sottovalutare le mosse del nemico. Tutte le tappe del Grande Gioco che Hopkirk ci ha raccontato in questo e in altri suoi libri si svolgono in una vasta area di quella macroregione che spesso viene definita l’Heartland del pianeta. Il geografo inglese Halford Mackinder, agli inizi del Novecento, aveva teorizzato questo concetto geopolitico nella convinzione che “chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-mondo: chi controlla l’isola-mondo comanda il mondo”. Sintetizzando, potremmo parlare della massa dei territori euroasiatici dalla quale le potenze marittime risultano escluse a causa della distanza geografica».
Traduzione di Fabrizio Bagatti
Postfazione di Roberto Zavaglia
Pagine: 580
Recensioni:
Italia Oggi – Diego Gabutti
Il Sole 24 Ore – Roberto Balzani
