La Brinquebale
di Matteo Moca – Il Foglio – 1 Agosto 2025
“Se il flâneur, assecondando ciò che scrive Walter Benjamin sulle modalità attraverso le quali Baudelaire vive Parigi, è colui che vaga per la città e diventa la figura simbolica del nuovo rapporto tra l´individuo e la modernità, tra l´io e la massa, la brinquebale è una parola che si avvicina a questo concetto per quanto riguarda il movimento ma se ne distacca per le caratteristiche dell´andare, indicando infatti “l´atto del sobbalzare, dello scuotere e dell´agitare ma anche dell´andare a zonzo o del gironzolare”. In questa parola polisemica sta il senso del libro in cui Henri Mahé , pittore eccentrico, erede di Toulouse-Lautrec e spesso impegnato nella decorazione di ambigui locali parigini, racconta la sua amicizia con il dottor Destouches, colui che sarebbe diventato Céline , proprio attraverso l´immagine di un lento e dinoccolato barcollare a due tra le vie e i passages di Parigi . Henri Mahé viveva su una chiatta ormeggiata sulla Senna che in poco tempo diventò il centro nevralgico di serate sopra le righe popolate da tenaci bevitori, delinquenti più o meno incalliti e, per l´appunto, da Céline. Questo libro, tradotto da Michele Zaffarano e Marco Settimini, raccoglie La brinquebale e La genesi di Céline, due tasselli simbolo dell´affetto di Mahé nei confronti dello scrittore, un materiale che, attraverso la narrazione autobiografica, biglietti, cartoline e lettere, dona al lettore una testimonianza preziosa, e di prima mano, su uno scrittore che fece della propria vita un lungo itinerario romanzesco attraverso cui fare esperienza, fino in fondo, della tragedia dell´esistenza. Il testo non offre particolari ricami critici (si sente piuttosto la fascinazione di Mahé per l´amico, il privilegio di essere vicino a un maestro che sapeva di donargli i tasselli per la scrittura della sua storia: “Se vuoi pubblica pure le mie lettere, però dopo la mia morte, che non tarderà”, gli scrive Céline), ma non si può dire lo stesso riguardo al suo valore testimoniale: il lettore che già conosce l´umanità in declino dell´opera di Céline, l´argot, la lingua popolare e gergale che agita le sue opere, e la scrittura che ricalca l´oralità ritroverà infatti questi elementi in tutta la loro concreta tridimensionalità nel racconto del mondo che i due hanno frequentato assieme. Attraverso i ricordi di Mahé si delinea pian piano l´immagine di un uomo che si separa dall´ombra inaccettabile dell´antisemitismo e si trasforma in uno dei tanti feriti del mondo che abitano le sue pagine. Se la matrice più profonda dell´opera di Cèline è la vita stessa nel suo procedere disordinato e incontrollabile, non esiste allora corollario migliore di La brinquebale per addentrarsi tra i suoi segreti.
La Brinquebale
Brinquebaler in francese è il traballare, il barcollare, il passeggio dinoccolato di due amici per le vie della Parigi degli anni ’30 e le vicissitudini di due vite movimentate, intensamente vissute, segnate dalla guerra e, nel caso del dottor Destouches, dai tremendi anni del carcere e dell’esilio. La Brinquebale è insieme una raffinata, divertente e mai scontata opera letteraria del pittore e decoratore bretone Henri Mahé (suoi fra l’altro gli affreschi del Moulin Rouge e del Grand Rex), e una profonda, a tratti commovente, testimonianza sulla vita di Louis-Ferdinand Céline, attraverso le numerose lettere che negli anni segnarono il loro legame. Lettere e cartoline riprodotte nel corso della narrazione, ma anche testimonianze accorate di Céline raccolte in appendice all’opera. Come nota nella prefazione Massimo Raffaeli: «Mahé scrive in retrospettiva, quando il suo amico è morto da anni (il manoscritto reca infatti nell’explicit la data del biennio “1967-1968”) e la parola brinquebale iscritta nel titolo è talmente polisemica da essere, in sé, intraducibile perché corrisponde in contemporanea sia all’atto del sobbalzare, dello scuotere e dell’agitare sia a quello dell’andare a zonzo o del gironzolare senza mercé: è il vagabondaggio negli inferi della modernità che Walter Benjamin (filosofo di Parigi e dei suoi passages) aveva individuato nella poesia di Baudelaire e nella paradossale procedura del flâneur, colui che conosce la città, e di riflesso il senso della sua stessa esistenza, soltanto frammentariamente e casualmente battendone i marciapiedi, assecondandone l’effetto di deriva. Mahé, prima che raccontare, o meno che mai giudicare Céline, ne incorpora le parole, gli scritti e specialmente le lettere a lui indirizzate. Il tono non è tanto di apologia (c’è anche quella ma come fosse un gesto primordiale e integrale di accettazione dell’altro), quanto di testimonianza di una fedeltà mai smentita e di una esplicita complicità con il compagno di strada».
Traduzione di Michele Zaffarano e Marco Settimini
Prefazione di Massimo Raffaeli
Pagine: 560
Recensioni:
“La Lettura” Corriere della sera – Emanuele Trevi
“Robinson” La Repubblica – Daria Galateria
