Le lettere del mio amico Céline
di Daria Galateria – “Robinson” La Repubblica – 6 Luglio 2025
Henri Mahé è pittore: dal 1928 vive su una chiatta attraccata sul Lungosenna, che ha decorato con i colori di Utrillo e attrezzato con lumi a petrolio (niente elettricità: bisogna godersi le luminiscenze del fiume), un pianoforte e alcune sedie, per ricevere una variopinta squadra di giovani artisti e qualche semi-celebrità. Tra loro c`è un medico quarantenne, Louis-Ferdinand Destouches – non ancora Céline che più tardi la rimpiangerà: «piena di risa, di battute e di ricordi». I due, bretoni, saranno grandi amici per tutta la vita, sempre a zonzo, altissimi, dinoccolati, a grandi falcate per Parigi. Esce ora La Brinquebale, la parola che traduce in argot la passeggiata a vuoto, bighellonando per Parigi (come la flànerie del poeta Baudelaire, per esempio). Nella Brinquebale (ora nella magnifica traduzione di Michele Zaffarano e Marco Settimini per Medhelan, con la preziosa introduzione di Massimo Raffaelli e la postfazione di Eric Mazet), Mahé procede così: nel suo cospicuo fascio di lettere inedite di Céline (più di cento, molte riportate integralmente in coda), sceglie un passaggio, una cartolina, un biglietto: e lo commenta. Ecco quindi comparire Céline, vivo, nel quotidiano, e attorno a lui sorgere tutto un mondo. Mahé è uno scrittore smagliante. «Tu vivi nel comico, io nel tragico», diceva Céline. Mahé si ritaglia la parte della spalla, ma è quasi un doppio: nella vita parlava costantemente in argot, la lingua del popolo, e qualcuno ha pensato che abbia influenzato Céline – ma Céli- ne, se ha portato, come Dante, la lingua parlata in letteratura, ne ha adottato la sintassi, mentre il vocabolario è sì colorito e popolare, ma inappuntabile, squisito. È Mahé, anzi, a imitare all`inizio, per entrare in argomento, Céline: «L`ambulatorio di Clichy è l`antro della Strega, e il dottor Destouches se lo schiuma ogni sera nel corso delle sue visite». Mahé gioca a replicare le formule allucinate dell`amico e lo “spasmo emotivo” dei tre punti – quando, alla fine, per Céline diventeranno, al di là dei capolavori e degli infami libelli antisemiti, il respiro stesso della pagina scritta. Massimo Raffaelli li paragona splendidamente ai merletti della madre, ricongiungendo il ritmo tardo di Céline, il paria delle lettere, all`infanzia al Passage Choiseul, dove non si cucinava il sugo per preservare i delicati lavori della mamma ricamatrice. «Quegli occhi azzurri che tu rimani scorticato», dunque, «due acquasantiere, il diavolo ci ha messo le dita». Non è mica cattivo, argomenta una paziente dell`ambulatorio: «Pensa che la sera, se diluvia, piglia un ombrello e va a prendere le mignotte per riaccompagnarle a casal… Non sia mai che si bagnino la permanente!». «Perdonateci per stasera, Elisabeth non sta bene», avvisa Céline: Elisabeth Craig, la prima delle sue ballerine, occhi verde cobalto, capelli ramati; non cammina, scivola. «Domenica», scrive Céline all`amico, «andiamo a sentire la fisarmonica (un bal musette) e poi ti faccio vedere un bagno per il quale mi devi preparare un affresco nautico». Mahé si aspetta una casa fatiscente; trova invece un appartamento da parroco, mobili bretoni lucidi di cera, un pastello di ballerine di Degas (le ballerine!), una finestrella con la vista di Parigi; sulla scrivania, pacchi di carte rilegate da mollette da bucato. «Ho abbandonato tanti di quei manoscritti – braccato, schiaffato in galera», scriverà Céline a un altro corrispondente, nel `47; e nel `48, alla segretaria Cannavaggia: ma sì, dia pure a Gallimard, l`editore, il preludio di Casse-pipe, «che ahimè non avrà più seguito» – e invece il manoscritto completo del romanzo del corazziere Destouches/Céline è ora riaffiorato, dopo il lunghissimo letargo che si sa, e tra poco lo leggeremo. Anche Mahé parla del buon dottor Gozlan, ebreo, che Céline glorifica (anche nel romanzo ritrovato Londres). Trascorrono allegramente gli anni del successo, e compaiono le attrici famose (sono antipatiche), Yvette Guilbert e Cécile Sorel. Céline ha «paura» di guadagnare: «Ho la pelle fatta di banconote» – ma da sempre invia alla figlia i soldi delle sue scoperte: dentifrici, pomate. All`amico Mahé, costretto a decorare sale da ballo modeste, Céline consiglia di adattarsi: «Bisognerà pure abituarsi a crepare un po` alla volta». (Per sé, invece, scriverà alla segretaria Cannavaggia: «Voglio il rispetto delle virgole»). Mahé «cicatrizza presto» una punta d`invidia. Morte a credito non ha il successo sperato, iniziano i deliri razzisti, le privazioni della guerra; Stalingrado è la rivelazione: il nazismo non prevarrà. Mahé scrive La Brinquebale nel 19 67-68; è tornato a terra, l`amico è morto da tempo. Riprende, sempre ricco e travolgente, nel 1970-75: Mahé è a New York. La genesi con Céline è il racconto degli anni in cui l`amico è prigioniero in Danimarca («Sarò liberato dai carri armati russi, ma poi mi risbatteranno subito in cella!»), e di ritorno in Francia, chiuso nell`autoassolutoria sindrome del perseguitato: «Sono i reumatismi che mi ammazzano e i giramenti di testa [il fischio della ferita di guerra] e il rimorso di esser stato così coglione, servile e compiacente». Compiacente? Nelle lettere è caparbio: «Me ne sbatto, del torto o della ragione! Qualcuno mi spieghi perché mi hanno ridotto in questo maledetto stato di accattone, dopo 56 anni di vita di lavoro». È ancora oggi il problema: gli sbandamenti ideologici e l`accanita fatica di una scrittura sempre, anche nelle lettere, brutale, buffona. e di cristallo.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
La Brinquebale
Brinquebaler in francese è il traballare, il barcollare, il passeggio dinoccolato di due amici per le vie della Parigi degli anni ’30 e le vicissitudini di due vite movimentate, intensamente vissute, segnate dalla guerra e, nel caso del dottor Destouches, dai tremendi anni del carcere e dell’esilio. La Brinquebale è insieme una raffinata, divertente e mai scontata opera letteraria del pittore e decoratore bretone Henri Mahé (suoi fra l’altro gli affreschi del Moulin Rouge e del Grand Rex), e una profonda, a tratti commovente, testimonianza sulla vita di Louis-Ferdinand Céline, attraverso le numerose lettere che negli anni segnarono il loro legame. Lettere e cartoline riprodotte nel corso della narrazione, ma anche testimonianze accorate di Céline raccolte in appendice all’opera. Come nota nella prefazione Massimo Raffaeli: «Mahé scrive in retrospettiva, quando il suo amico è morto da anni (il manoscritto reca infatti nell’explicit la data del biennio “1967-1968”) e la parola brinquebale iscritta nel titolo è talmente polisemica da essere, in sé, intraducibile perché corrisponde in contemporanea sia all’atto del sobbalzare, dello scuotere e dell’agitare sia a quello dell’andare a zonzo o del gironzolare senza mercé: è il vagabondaggio negli inferi della modernità che Walter Benjamin (filosofo di Parigi e dei suoi passages) aveva individuato nella poesia di Baudelaire e nella paradossale procedura del flâneur, colui che conosce la città, e di riflesso il senso della sua stessa esistenza, soltanto frammentariamente e casualmente battendone i marciapiedi, assecondandone l’effetto di deriva. Mahé, prima che raccontare, o meno che mai giudicare Céline, ne incorpora le parole, gli scritti e specialmente le lettere a lui indirizzate. Il tono non è tanto di apologia (c’è anche quella ma come fosse un gesto primordiale e integrale di accettazione dell’altro), quanto di testimonianza di una fedeltà mai smentita e di una esplicita complicità con il compagno di strada».
Traduzione di Michele Zaffarano e Marco Settimini
Prefazione di Massimo Raffaeli
Pagine: 560
Recensioni:
“La Lettura” Corriere della sera – Emanuele Trevi
“Robinson” La Repubblica – Daria Galateria
