Il canto di Venezis è come il vento: raccoglie e trascina
di Andrea Marcolongo – “Tuttolibri” La Stampa – 18 Ottobre 2025
Ci sono libri che non si leggono soltanto con gli occhi, ma si ascoltano con l`anima. Terra Eolica di Ilias Venezis, edito ora in italiano da Medhelan con una traduzione di Francesco Colafemmina, appartiene a questa seconda categoria rara: non racconta una trama, ma risveglia un mondo scomparso, come un`eco che torna da lontano. Pubblicato nel 1943, nel cuore di un`Europa devastata dalla guerra, il libro non descrive direttamente il conflitto: ne custodisce invece il riflesso più intimo, quello della perdita. Perdita dell`infanzia, della patria, della lingua condivisa, di quella continuità che unisce generazioni e memorie. Attraverso lo sguardo di Petros, trasparente alter ego dell`autore, il lettore viene introdotto alla vita sulle pendici dei monti Kimidenia, in Asia Minore: case profumate di gelsomino, feste religiose, nonni depositari di saggezza arcaica, contadini dalla lingua antica. Ogni dettaglio – un raggio di sole che carezza un tappeto, un`arancia tagliata, una nenia al crepuscolo diventa epifania. Ma quest`armonia cela un filo sottile: noi sappiamo ciò che i personaggi ignorano, ossia che quel mondo fragile è destinato a svanire. Venezis però non accusa, non grida: accarezza. Trasforma la frattura in narrazione, la perdita in canto. Nato ad Aivali nel 1904, Venezis fu testimone delle deportazioni del 1922. In Numero 31328, uno dei testi più drammatici della letteratura greca del Novecento, aveva raccontato l`orrore della prigionia. In Terra Eolica, invece, l`autore sceglie la via della luce: non documenta la distruzione, ma custodisce ciò che è stato. La sua prosa, limpida e insieme poetica, diventa un`arca fragile in cui mettere in salvo l`infanzia, la cultura, la lingua, tutto ciò che rischia di perdersi nel silenzio. Il titolo stesso è dichiarazione di poetica: l`Eolide è insieme geografia e mito, dimora di Eolo, dio dei venti, ma soprattutto patria ancestrale dei Greci d`Asia Minore. Nel romanzo il vento non è sem- plice aria in movimento: è voce invisibile, messaggero di memorie, forza che sradica e insieme semina nostalgia. Soffia tra le rovine e restituisce per un istante ciò che il tempo ha sottratto. Venezis scrive con un respiro quasi omerico, ma senza eroi né divinità: i suoi personaggi sono uomini e donne comuni, trasfigurati dalla luce del ricordo. Terra Eolica è dunque più di un memoriale: è un atto di resistenza spirituale contro l`oblio. Venezis non scrive per sé, ma per tutti quelli che non hanno più potuto raccontare. La sua voce continua a parlarci oggi con intensità sorprendente, ricordandoci che la letteratura non è solo cronaca, ma soprattutto custodia, rifugio, gesto di fedeltà. E una preghiera laica che unisce passato e futuro, che raccoglie e tramanda. La risonanza con la tradizione greca antica è palpabile. Come nei Nostoi omerici, il tempo non è lineare ma ciclico; il ritorno è impossibile eppure necessario. Come Ecuba o Ifigenia nelle tragedie di Eu- ripide, i personaggi di Venezis sopravvivono alla catastrofe e tentano di salvare frammenti d`identità. Non cercano catarsi né vendetta: solo il desiderio ostinato di non lasciar morire ciò che si è amato. Venezis diventa così un aedo moderno, che non tramanda l`eroismo ma la fedeltà, che non celebra la vittoria ma la memoria, che non canta il destino ma la dignità dell`essere umano. Ed è proprio qui che risiede l`universalità del libro. La storia dei Greci d`Asia Minore diventa emblema di tutte le terre perdute, di ogni esilio e sradicamento. Leggere Terra Eolica significa imparare di nuovo la lentezza, l`intimità dello sguardo, l`ascolto profondo del mondo. In un`epoca di semplificazioni frettolose, Venezis ci offre un`opera densa e resistente, che chiede tempo ma restituisce in cambio intuizioni luminose. Non verità assolute, ma verità intime, nate da stagioni, lingue, gesti quotidiani, dalla memoria familiare che attraversa la storia. Ottant`anni dopo, TerraEo- lic a resta un libro più che mai vivo. Parla con la grazia di chi ha attraversato il dolore senza lasciarsi imprigionare dal rancore; con la dolcezza grave di un vento che continua a soffiare oltre i confini, oltre le generazioni. È un`opera che non si esaurisce nell`ultima pagina (in appendice il lettore troverà anche il memorabile racconto Sui Kimidenia), ma resta come porto segreto, geografia intima, luogo al quale tornare. Questa è la sua grandezza: trasformare la memoria in responsabilità, la perdita in canto, il silenzio in parola. La scrittura di Venezis ci invita a riscoprire la forza umile della letteratura: dare un nome a ciò che è stato dimenticato, e conpudore restituirgli dignità. E un invito a non cedere all`oblio, a credere che la parola possa ancora farsi casa, radice, rifugio. Alla fine, ciò che resta è il vento. Un vento che non è più soltanto eolico, ma soffio interiore, corrente di vita e di memoria. Un vento che attraversa il lettore e gli ricorda che un altro modo di vivere, e di raccontare, è stato possibile. E che, grazie alla letteratura, può esserlo ancora.
Terra Eolica
È il 1942 e mentre per le vie di Atene imperversa la carestia causata dall’occupazione nazifascista, Ilias Venezis comincia pubblicare a puntate sul giornale Nea Estia, il romanzo Terra Eolica o, come amava chiamarlo, «il racconto degli uomini buoni». Non una fuga dalla tragica realtà della guerra, della morte e della desolazione, ma un modo per ricordare a se stesso e all’intero popolo greco che esiste anche la bontà, l’amore, il sogno, la bellezza di una terra ricolma di doni, anche se ormai distante e perduta. Quella Terra Eolica della sua infanzia, narrata con tono incantato, intrecciato a una millenaria saggezza. In questo capolavoro della letteratura greca del ‘900, Venezis conduce il lettore attraverso i rapsodici ricordi della fattoria dei nonni, ma esplora anche i primi turbamenti dei bambini protagonisti dell’opera, l’incontro con l’amore, con l’avventura, e con l’incipiente malvagità umana, quella che condurrà nel 1914 l’ellenismo dell’Asia Minore ad abbandonare per la prima volta la propria patria millenaria. Lontano dalle ombre di un’umanità nutrita di odio, il sole che illumina i monti Kimidenia, riscalda i cuori di uomini antichi ed umili, osserva le loro storie fatte di passioni semplici ed autentiche, colorate dai ritmi ciclici della natura, dalle sacre leggi dell’accoglienza e del rispetto fra popoli e culture. E continua ad indicarci la strada per la felicità nelle piccole cose: l’affetto devoto dei nonni, i frutti di una terra non certo rigogliosa, l’amicizia, il rispetto per i più deboli, l’amore, infine, per la propria terra perduta, custodita in un fazzoletto sgualcito, giusto un pugno di terra sufficiente a piantare del basilico: «Terra Eolica, terra del mio paese».
Traduzione e postfazione di Francesco Colafemmina
Prefazione di Andrea Marcolongo
Prologo di Anghelos Sikelianos
Pagine: 376
Recensioni:
“Tuttolibri” La Stampa – Andrea Marcolongo
“Alias” Il Manifesto – Sarantis Thanopoulos
