Huguenin, nero idillio neoromantico in Bretagna

di Massimo Raffaeli – “Alias” Il Manifesto – 30 Marzo 2025

Nel 1960 Jean René Huguenin, tra i fondatori di «Tel Quel», va in controtendenza con il romanzo «La costa selvaggia»: ora lo ritraduce Medhelan. L´ultima decade del settembre 1962 la letteratura francese perse tre giovani romanzieri per incidente stradale. Il giorno 29, una sera di pioggia, sul raccordo Parigi-Ovest si schiantava appena trentasettenne Roger Nimier, l´autore dei fortunatissimi Le spade (1948, da noi Meridiano Zero 2002) e L´Ussaro blu (´50, poi Theoria 2019), editor da Gallimard fra gli altri di Céline e Jouhandeau, esponente di un esistenzialismo di destra che si rifrangeva in uno stile netto e insolente: gli sedeva accanto nell´Aston Martin una ragazza di appena ventisette anni, Sunsiaré de Larcône, amante dello scrittore e freschissima esordiente con La Messagère (inedito in italiano ma su di lei si veda il notevole memoir della figlia dello scrittore, Marie Nimier, La Regina del silenzio , Clichy 2019). Li aveva anticipati di una sola settimana sullo stesso raccordo, solo qualche chilometro più a sud alla guida della Mercedes di in amico, il ventiseienne Jean-René Huguenin, firmatario di un romanzo uscito da Seuil nel 1960 che, già tradotto da Rizzoli nel ´62, torna oggi nella chiara versione di Marco Settimini: La costa selvaggia (Medhelan, pp. 157, ? 18,00). Huguenin viene dalla grande borghesia delle professioni, suo padre è un illustre oncologo di origini bretoni con ambulatorio e dimora nel XVI arrondissement, a Passy, ma i suoi studi d´ordine filosofico-giuridico, tra l´ENA e Sciences Po dove si laurea, sono presto abbandonati per la militanza letteraria. Oltre a La costa selvaggia e un Journal che uscirà qualche anno dopo la scomparsa con una prefazione di François Mauriac, lascia poche altre pagine. Il suo nome, che anche in Francia non è mai andato oltre la seconda fila o comunque non è mai uscito dalle collane per happy few , spicca tra i fondatori di «Tel Quel», una rivista d´avanguardia che però Huguenin abbandona non appena pubblicato il romanzo per divergenze di linea e specialmente di poetica, che nel suo caso è frontalmente ostile a quella del Nouveau Roman. E a proposito di Robbe-Grillet e degli altri affiliati alla école du regard , rispondendo a un´inchiesta egli afferma senza mezzi termini che i loro personaggi sono privi di vitalità interiore, di «anima», che sono viceversa oggetti inerti e fungibili o insomma degli esseri umani ormai perfettamente interscambiabili. Nella verve che è tipica di ogni opera d´esordio e se vogliamo nell´ardore che, per etimologia, segna qualunque adolescenza, La costa selvaggia è il puntuale corrispettivo, la letterale messa a punto della poetica di Huguenin. Si tratta in effetti di una materia incandescente, cioè di un classico triangolo amoroso di cui tuttavia i primi due vertici sono fratelli carnali, Olivier e Anne, i quali tornano per un´estate nella casa avita in Bretagna dove abita la vecchia madre vedova con la figlia maggiore dal carattere ipocondriaco e dove ritrovano Pierre, amico di Olivier fin dall´infanzia e promesso sposo di Anne. La redazione consiglia: Céline, paradossi e scene di malavita londinese Il triangolo che costoro compongono è in realtà un campo minato molto prossimo a esplodere: la cuspide, colui che domina lo scambio relazionale e affettivo è Olivier il cui affetto morboso, che via via si rivela apertamente incestuoso nei confronti di Anne, è una ferrea ipoteca sia nei confronti della sorella (passiva, irretita nel suo gioco) sia nei riguardi dell´amico Pierre che non è chiaro se davvero voglia Anne o non piuttosto emanciparsi dalla influenza manipolatoria del medesimo Olivier. Il teatro naturale di questo nero idillio sono le spiagge, le scogliere bretoni e il decorso di un´estate che doppia la vicenda narrativa, dove il sole a picco rappresenta il massimo della tensione e le prime avvisaglie d´autunno il sintomo, invece, di una risoluzione: le mine di cui è disseminato il terreno di scontro scoppieranno solo virtualmente, per tutti, nello spazio e nel tempo, ci sarà un altrove e perciò da un lato il matrimonio borghese (che seppellisce ciò che sta disinnescando), dall´altro una solitudine colma di rimorso e rimpianti. Huguenin, costruendo un romanzo che ha l´allure e le giunzioni imbastite del racconto lungo, ritrae i suoi personaggi di scorcio indugiando sulle zone di chiaroscuro e di ambiguità, sui momenti di colluttazione muta quando per esempio (in una pagina di eccezionale intensità) Olivier, come faceva da bambino, succhia il sangue di un´escoriazione sulla spalla di Anne con un gesto che certo nasce inconsciamente ma di colpo si carica di un violento erotismo. Lo sguardo di Huguenin è partecipe senza essere complice, egli siede accanto ai propri personaggi, non gli interessa né ritrarli impassibilmente né tanto meno (nonostante la rivendicata fede cattolica) giudicarli moralisticamente. Quello che coglie per istinto è la loro vibrazione psicologica, il colore di una intonazione, il senso di un gesto senza compimento insieme coi colori dell´estate, la luce al suo apice durante la trebbiatura (è il tempo in cui la passione sta incubando), poi il sole piatto sull´estate dispiegata (che è principio di una potenziale liberazione), infine il tempo già in sospetto d´autunno, il tempo della delusione e del rimpianto. Huguenin sembra non avere modelli alle spalle però è lecito ipotizzare una diretta conoscenza non solo dell´ovvio Jean Cocteau dei Parenti terribili (´38) ma anche del romanzo d´esordio di Nimier, appunto Le spade , dove pure si tratta di un aspro e incestuoso contendere tra fratello e sorella, e probabilmente il capolavoro di René Crevel, La morte difficile (1926, oggi un libro di culto, ben tre edizioni in italiano) dove ancora una volta due fratelli vivono la famiglia, o quanto ne resta, sia come un nucleo di resistenza primordiale sia come un vero e proprio campo di sterminio. Dunque i personaggi di Huguenin hanno inevitabilmente un surplus di «anima», agiscono un´iperemotività di proporzione inversa rispetto alle azioni che si trovano a compiere, incarnano un´espressività che stilizza i dialoghi come fossero duelli senza esclusione di colpi. In essi è iscritta una ambivalenza che li porta a esporsi, a ferirsi vicendevolmente ma nel frattempo a permanere in una zona psicologicamente incerta, torbida, quasi che non volessero conoscere fino in fondo la verità che li riguarda per prenderne coscienza. Si tratta di caratteri romantici o, anzi, di dichiarati neo-romantici. Dice uno di loro, a un certo punto: «Oh, vuoi sempre sapere! Sapere . ! Mai comprendere!»; o anche: «Sapeva che quell´indifferenza beata, quella sufficienza del suo corpo sarebbe presto svanita – e che perdendola, si sarebbe presto ritrovato: lui, il suo nervosismo, la sua sofferenza». Sono oscillazioni, distrazioni, infortuni della mente e del cuore che la scrittura de La costa selvaggia sa trasmettere a distanza di tempo e tale è il motivo della sua perdurante freschezza. Ne dà piena dimostrazione la scrittura mossa e inventiva, fitta di imprevisti décalage , ora nervosa e rettilinea ora invece rallentata e insinuante con sbalzi evidenti anche nel registro che va dal grado zero lessicale fino alla enumerazione caotica e agli ingorghi del flusso di coscienza, mentre i livelli linguistico-stilistici si alternano in totale libertà: a riprova del fatto che il vero maestro di questi adolescenti destrorsi, di Roger Nimier come di Sunsiaré de Larcône e di Jean-René Huguenin, rimane Stendhal con la sua maniera allora così semplice e buttata via da sembrare oggi del tutto «naturale».


La costa selvaggia

18,00 

«Scende la sera, il mare si ritira. Una barchetta blu che poco fa ancora fluttuava giace ora di lato. Vicino all’acqua delle pulci di mare brulicano e saltano. Una barca per la pesca alle sardine rientra in porto. Delle famiglie si agitano nella sabbia, qualche bambino si attarda dietro di loro, la testa ancora rivolta verso il mare». È il mare della costa bretone, ora placido e rassicurante, ora travolgente e lunare,
a fare da sfondo all’unico romanzo di Jean-René Huguenin, giovane promessa della letteratura francese, morto in un tragico incidente stradale nel 1962, a soli 26 anni. Il mare è lo specchio dell’anima dei due protagonisti Olivier ed Anne, fratello e sorella, uniti dai ricordi di una giovinezza che sfuma in un futuro oscuro, fatto di distanze e sradicamento. La Bretagna non va mai via, coi suoi calvari agli incroci delle strade, le barche e le chiese silenziose, ma Olivier non riesce ad immaginare la sua vita lontano dalla sorella, destinata a sposare il suo migliore amico, Pierre. La vicenda di un’estate, fatta di ritorni e separazioni, diventa occasione per indagare i tormenti di una generazione cresciuta troppo in fretta, già sazia di futuro, incapace di trovare un senso alla vita adulta che vada oltre i ricordi e le assolate nostalgie. Huguenin travolge nella sua prosa al di fuori degli schemi, fresca ed erotica allo stesso tempo, prende per mano il lettore e gli fa riscoprire l’innocente cinismo della giovinezza che non vuol finire e la fragile bellezza degli istanti eterni e perduti: «poi non udrà più niente, l’odore stesso del mare sparirà, tutta l’estate rifluirà in fondo alla sua memoria. Allora il deserto, il silenzio, il freddo che lo soffocheranno, somiglieranno a quelli che già sentiva spuntare nel cuore delle calde e turbolente giornate di agosto, quando l’acqua del bagno gli pareva più fredda del giorno prima, il sole più pallido, le foglie meno verdi, i giorni meno lunghi, e immaginava il momento in cui sull’oceano imbiancato, sulle ville chiuse, sulla spiaggia dove si sarebbero mossi ormai soltanto gli anelli del portico abbandonato, avrebbe regnato l’inverno bretone».

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Traduzione e prefazione di Marco Settimini

Pagine: 160


Recensioni:

“Alias” Il Manifesto – Massimo Raffaeli
“La Lettura” Corriere della sera – Simone Innocenti
Doppiozero – Alice Figini


 

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