Ernst Weiss esce dal cono d’ombra di Kafka
di Vito Punzi – Avvenire – 5 Maggio 2025
Medico ebreo, ebreo del tipo più prossimo alla tipologia dell`ebreo occidentale al quale ci si sente per questo immediatamente vicini». Così scriveva Franz Kafka nel suo diario a proposito dell`amico Emst Weiss (1882-1940), anch`egli ceco (di Brno), anch`egli ligio all`uso della lingua tedesca per scrivere. Trasferitosi a Berlino nel 1913, lì si decide per la letteratura, pubblicando il primo romanzo, La galera. Gli anni e il contesto sono gli stessi di Kafka, con il quale l`amicizia sarà piuttosto stretta, fino alla rottura, ne11916, di cui sappiamo, perché annunciata per lettera da Franz alla fidanzata berlinese Felice Bauer. Una storia tormentata, per Kafka, quella con Felice, nella quale anche Weiss ebbe un ruolo. Suo malgrado, agli occhi del praghese Emst rappresentava un modello di vita alternativo a quello che si sarebbe spalancato a Kafka qualora avesse deciso di sposare Felice (cosa che non farà): il modello dello scrittore, che – come ricorda Ginevra Quadrio Curzio nella prefazione a Uomini nella notte (Medhelan, pagine 180, euro 20,00) – l`amico Franz non osò mai intraprendere. Per quanto molto di suo sia stato edito in Italia fin dal 1933, Weiss risulta essere poco letto, poco apprezzato, e questo, a dire di Quadrio Curzio, dipende dall`aver rinchiuso la sua figura «solo nel cono d`ombra di Kafka». In realtà, e lo si comprende bene anche in Uomini della notte, proposto ora per la prima volta in italiano, sono le varie, frequenti ed evidenti intenelazioni con l`opera del praghese a dare valore e a rendere tanto più interessante le narrazioni di Weiss. Pubblicato nel 1925 a Berlino, il romanzo è incentrato su un episodio della vita di Balzac, che cerca di aiutare un quasi dimenticato amico d`infanzia nel suo processo per omicidio. Buona parte del libro, poi, è dedicata a Napoleone, agli anni del suo declino: seppur col buon intento d`intrecciare biografia e vocazione del “grande condottiero” con quelle del “grande scrittore” Balzac, il risultato non è all`altezza di quanto a Weiss è riuscito con la narrazione della vicenda del duplice omicidio commesso dal notaio Peytel. C`è un tratto essenziale che rende la scrittura di Weiss di particolare valore e prossima a quella kafkiana: il senso di tragicità col quale s`approccia alla creatura, umana o animale (si ricordino i topi, gli sciacalli, i cani, gli insetti di Kafka). È nella prima parte di Uomini nella notte che abbondano metafore utili a tessere l`indistricabile intreccio umanoanimale. Ad esempio, di Peytel si dice che «di nuovo risuonò il suo ululato quasi animale, che doveva scaturire – chissà – da un dolore profondo, quasi intollerabile per un essere umano». Non a caso Weiss aveva pubblicato nel 1918 Animali in catene (Clueb 2008). La creaturalità è per lui sempre un motivo tragico di onore e pietà: tutti i suoi personaggi lottano dolorosamente per uscire dall`oscurità. Ecco perché recensendo un altro romanzo, Stella dei demoni, pubblicato nel 1921 e ancora inedito in Italia, Hermann Broch definì Weiss autore che «un tempo avrebbe scritto tragedie del destino». Perché la sua esperienza poetica più peculiare: la cieca e ottusa schiavitù dell`uomo in un`assenza di scopo non illuminata, coincide con il concetto che un tempo veniva chiamato “destino”.
Uomini nella notte
Il 1 novembre del 1838 sulla strada per Belley, nell’alta valle del Rodano, fu commesso l’efferato omicidio, a colpi di pistola e martello, del cocchiere e della moglie del notaio Sébastien Peytel. Quest’ultimo, unico sopravvissuto alla mattanza, fu subito accusato di essere lo spietato assassino. Nonostante l’assenza di elementi che potessero scagionarlo, Peytel che, nel 1830, aveva collaborato con Balzac al giornale “Le Voleur”, fu prontamente assistito dal celebrato scrittore della Comédie humaine. Da questa torbida e oscura vicenda prende avvio il romanzo di Ernst Weiss, pubblicato nel 1925, in occasione del 75° anniversario della morte di Balzac. Con un magistrale intreccio di narrazione originale e continui rimandi alle opere di Balzac – una su tutte, Un tenebroso affare (1841), scritto a ridosso dell’affaire Paytel – Weiss disegna non solo un ritratto estremamente realistico del grande romanziere francese, ma si addentra nei meandri della psicologia criminale, dell’altruismo sognante dell’uomo di lettere, senza mai distaccarsi dalle tematiche centrali del romanzo: l’amicizia e la solitudine. E il desiderio di fuggire verso nuovi orizzonti che la vita puntualmente sposta sempre più avanti, rendendo vano ogni umano sforzo. L’eroe del romanzo, Balzac, è presentato al lettore con le sue ossessioni, in particolare quella per il lusso e il denaro – sempre insufficiente -, e il suo genio che gli consente di scrutare con la stessa profondità nell’animo dell’uomo della strada così come in quello del suo modello di uomo: Napoleone. L’autore delle Massime e pensieri di Napoleone e della Storia dell’Imperatore raccontata da un vecchio soldato, vede riflessa nel destino del più grande dei francesi la prosaica e ambigua caduta dell’amico Peytel, considerato innocente sino alla fine. L’ineluttabilità del destino, la fragilità dei nobili sentimenti, l’illusorietà degli antichi codici d’onore, nel ribollire delle passioni umane – temi ricorrenti in Weiss – si ritrovano tutti in questo romanzo d’occasione e dalla prosa sperimentale che lo consacra fra i massimi autori del primo Novecento europeo.
Prefazione e traduzione di Ginevra Quadrio Curzio
Pagine: 180
Recensioni:
Il Foglio – Riccardo Canaletti
Il Giornale – Daniele Abbiati
Avvenire – Vito Punzi
