Il mondo negli occhi di mio figlio
di Monica Acito – “Robinson” La Repubblica – 25 Maggio 2025
Francisco Umbral non è uno scrittore, è uno spargimento di oro e musica. Francisco Umbral è stato venerato e criticato,
nella sua opera ha attraversato la memoria collettiva e personale del periodo del franchismo e ha innovato la lingua in modo totale e irregolare. Lo scrittore e giornalista spagnolo, scomparso nel 2007, è noto soprattutto per Rosa e mortale, apparso per la prima volta nel 1975 e ora pubblicato in Italia da edizioni Medhelan con la traduzione e postfazione di Claudia Marseguerra e la prefazione di Marco Ottaiano. Leggere Umbral significa arrendersi a una boscosità di neologismi, allitterazioni, assonanze, metafore e paronomasie, significa entrare in una selva di alessandrini e endecasillabi. Questa complessità letteraria si converte poi in una pagina densa e umida: nella prosa di Rosa e mortale ci sono la natura e il corpo, il sesso e i petali carnosi dei fiori, il fumo bianchissimo di una sacrestia, il disordine e le vecchie tigri. Francisco Umbral è un`emorragia di similitudini, le fa sgocciolare sulla pagina con un`impressionante felicità espressiva e alla fine ci si ritrova con un testo aperto e sanguinante, un testo che non finisce mai. Umbral riesce a creare delle partiture in prosa che hanno un`esattezza crudele e una perfezione aliena, e in molti hanno indicato, proprio in questa estasi formale, il più grande limite di Umbral: come scrive Ottaiano nella sua bella prefazione, allo scrittore spagnolo venne severamente rivolta l`etichetta di scrittore “estetizzante”, ma questo giudizio risulta ingiusto dal momento che Umbral esordì in un momento di sperimentazione e riorganizzazione delle forme narrative, in un momento di forte messa in discussione del romanzo. Ed è proprio il romanzo come forma, concetto e statuto a essere il nervo dolente di Umbral: «Ho trascorso l`estate a scrivere un romanzo alla velocità di dieci cartelle al giorno e adesso ho voglia di fare qualcosa di più intimo e libero, senza l`odiosa premeditazione del romanzo, come diceva André Breton […] Il tempo del romanzo è un tempo falso, convenzionale, statico, di cui l`autore dispone meschinamente». Così scriveva Umbral nel suo Diario politico y sentimental, tradotto proprio da Ottaiano, e si intravede in controluce la perla più profonda del malessere di Umbral, la sua repulsione istintiva verso il romanzo, come se quest`ultimo fosse un compromesso borghese, un`intelaiatura di cartapesta. C`è il rifiuto primigenio di gettarsi con tutto il corpo nel pozzo della finzionalità, e infatti c`è sempre uno sbattere di ali, una sete di piume: il rifiuto di Umbral verso le convenzioni del romanzo “chiuso” gli hanno però permesso di creare un`officina narrativa in itinere, in cui ha sperimentato e creato tanti spettri ibridi, che di volta in volta appaiono come memorie, cronache giornalistiche, diari o forse niente di tutto ciò. Rosa e mortale è quindi un`opera verde, mostruosa, musicale. Non è un`opera compiuta, è un`opera laboratoriale e inizialmente doveva intitolarsi Estoy oyendo crecer a mi hijo (Sto sentendo crescere mio figlio). La morte prematura del figlio di Umbral, avvenuta nel 1974, non era prevista: questo rende l`opera, a un certo punto, un`elegia aperta. Ogni pagina si configura come uno struggente pianeta infantile da percorrere: la figura del bambino di Umbral ha la stessa leggerezza degli uccellini che passeggiano nei boschi, la dolcezza disperata dei giocattoli in una stanza, e Umbral costruisce dei passaggi che hanno il tono delicato degli epigrammi latini: «Il bimbo partecipa della frutta, del gatto e dell`uomo, è un incrocio di persona, mela e felino. […] Tutte le forze della vita lo attraversano, e con questa stessa materia che ha fatto un bambino si poteva fare una tigre, un albero da frutto o un ruscello». Rosa e mortale è un cantiere spalancato fino alla fine, e tutto ciò è inframmezzato da disquisizioni sulla vita, la morte, il sesso, la fama degli scrittori e soprattutto riflessioni sulla scrittura, in una giungla di autobiografismo e ricordi, in un fluttuare di argomenti che non vogliono tenere il punto. «Scrivo per il gusto di scomparire. Scrivere è assentarsi, scrivere è perdere peso. Un dimagrimento immediato». Per Umbral la scrittura è invisibilità e nascondimento tra le pieghe del mondo, e il giornalismo invece è distruzione: alla fine del libro, Umbral, che fu un maestro controverso di giornalismo, parla proprio dei suoi articoli come un mezzo per annientarsi, sfogliarsi e morire, per diventare cenere. Quello che rimane alla fine di quest`opera è, essenzialmente, tutta la poderosa fluvialità di Umbral. Uno scrittore onnivoro, esagerato, meravigliosamente dissipativo e generoso, che con Rosa e mortale ha voluto tentare le prove di un`opera mondo, un`opera torrentizia che vuole raccogliere tutto nelle sue spire. E vuole raccogliere tutto con una prosa che è un incendio, un giglio bianco che cambia tonalità di pagina in pagina e che, spesso, si colora di un sentimento vicino alla felicità. «Siamo stati felici, per un momento, noi tre, nella nuvola grossa e grande della carne bruciata, nella fiammata densa della domenica».
Rosa e mortale
Pubblicato nel 1975 e considerato tra i capolavori di Umbral, Rosa e Mortale è una tenera elegia dell’infanzia, un diario intimo dell’autore alle prese con l’esperienza della paternità e della tragica morte del figlio a soli sei anni. L’opera, fin dal titolo, ispirato al verso di Pedro Salinas «questa corporeità mortale e rosa dove l’amore inventa il suo infinito», racconta l’incanto dell’uomo dinanzi all’infanzia. Quell’infanzia «di cui non sappiamo mai nulla» si palesa per intero allo scrittore attraverso l’esperienza del figlio. Avviata ben prima della scoperta della malattia del bambino (nella sua prima stesura si sarebbe dovuto intitolare “Sto sentendo crescere mio figlio”), l’opera di Umbral si configura come un incessante flusso linguistico che spesso trasforma la prosa in poesia e la razionalità in irrazionale contemplazione del mistero della vita e della morte.
Prefazione di Marco Ottaiano
Traduzione e postfazione di Claudia Marseguerra
Pagine: 248
Recensioni:
“Robinson” La Repubblica – Monica Acito
